Promossi alla gloria

Ernesto Di Biagio

1888 - 1966

 

Ernesto Di Biagio nacque a Sonnino il 31 maggio 1888. Sonnino, allora provincia di Frosinone, è un piccolo centro agricolo del Lazio, situato su uno dei colli dei Monti Ausoni che si affaccia sull’agro pontino ed è un paese che conserva ancora strutture medievali.

 

Sulle condizioni religiose di Sonnino, prima che vi giungesse l’Evangelo, Ernesto afferma: “Sonnino è un piccolo centro ed è ammaestrato dalla religione romana, ignoranti dell’Evangelo e che le barriere erano molto forti per espugnarle, demolirle ed io mi vedevo già in mezzo a molti lupi e che non avrei resistito all’urto del nemico” (1).

 

La ragione di questa grande opposizione è da ricercarsi non soltanto nel fatto che il messaggio evangelico era sconosciuto nella zona, ma anche nella condizione religiosa del paese. Sonnino infatti era nota per l’indiscusso potere del clero, in quanto aveva dato i natali a Giacomo Antonelli, una delle personalità più influenti ed intransigenti del potere temporale della chiesa cattolica, il quale pur non essendo stato mai ordinato sacerdote, venne creato cardinale da Pio IX, fu segretario di Stato dopo la caduta della Repubblica Romana e rivestì un ruolo preponderante nella politica dello Stato Pontificio fino al 1870.

 

Le condizioni sociali dei contadini all’inizio del 1800 dovevano essere state molto tristi al punto da scatenare una “sui generis” lotta di classe, dal 1817 al 1825 in diverse zone dello Stato pontificio, tanto che Sonnino è stata anche patria di Antonio Gasparoni. Arrestato nel 1825, il Gasparoni rimase in prigione per 26 anni, quando fu accolta la sua domanda di grazia.

 

In questo ambiente, che risentiva ancora del potere repressivo del clero e ricordava le imprese avventurose del Gasbarrone, visse dall’infanzia alla giovinezza Ernesto Di Biagio. Figlio di agricoltori, pur essendo animato da un sentimento religioso si rese conto ben presto della vita poco esemplare del clero locale. Egli stesso infatti ricorda: “A quel tempo vi era un insegnante di scuola elementare, costui, spesso anche in mezzo alla strada si avvicinava ad alcune persone e verbalmente spiegava qualche cosa di utile agli uditori.

Una volta si trovò a passare un sacerdote … ed udì che l’insegnante parlava con piacere di cose utili ... (e) gli disse: ‘Non date luce ai ciechi’; ciò è contrario agli insegnamenti di Cristo” (2).

 

Per ragioni di lavoro, nel 1906 Ernesto emigrò negli Stati Uniti e vi rimase per circa due anni. Tornato in Italia venne chiamato alle armi e in seguito partecipò alla guerra di Libia. Nell’aprile del 1913 sposò Lucia Lattanzi, che sarà la sua fedele compagna. Nel 1915 venne richiamato alle armi e partecipò alla prima guerra mondiale. Ma intanto qualcuno, anni prima, gli aveva detto che l’Evangelo era la verità. Inutilmente ne aveva chiesta una copia al proprio parroco, ma era rimasto in lui un grande desiderio di leggere il Vangelo ed un profondo bisogno di pace interiore. Nel 1920 emigrò di nuovo negli Stati Uniti; ma lasciamo a lui la descrizione del suo incontro con l’Evangelo: “Giunto in America, andai nella città di Syracuse, New York … Andai ad abitare in casa di una mia cugina di nome Maria, già maritata, con quattro figli. Era verso mezzanotte quando arrivai e scambiati i saluti … ognuno andò a riposarsi.

 

La mattina come mi alzai ... mi recai in cucina. Nel mezzo vi era una tavola e sopra un libro. Mi avvicinai, lo presi fra le mani e nella prima pagina vi era scritto: “Il Nuovo Testamento del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo”. Sfogliai ancora un’altra pagina e lessi: ‘L’Evangelo di S. Matteo’.

Non posso descrivere la gioia che provai nell’aver trovato quell’Evangelo che da diversi anni bramavo di averlo e conoscerlo. Se mi avessero messo da una parte un gran tesoro e dall’altra l’Evangelo e mi avessero detto scegli e prendi, da parte mia, in verità, avrei scelto l’Evangelo. Da quel giorno per me è stato il mio diletto.

Domandai alla mia cugina Maria come aveva fatto per trovarsi in possesso di quel libro, mi rispose che già da due anni (era stato) loro parlato dell’Evangelo e se volevano la salvezza dovevano crederlo e praticarlo. Fece presto la voce a spandersi in mezzo alla comunità ... che era venuto dall’Italia un suo cugino che gli piaceva tanto di leggere e conoscere l’Evangelo.

 

Cominciarono subito le visite. Col piacere di conoscermi mi davano la loro testimonianza. A volte anche 8 e 9 persone venivano, ed oltre alla testimonianza cantavano qualche inno religioso e fra di me dicevo, come cantano bene! Un giorno venne anche il Pastore, uomo avanzato di età, si chiamava Giuseppe Beretta (...). Venuto per far conoscenza; vi piace di leggere l’Evangelo? Io gli risposi non poco ma molto! Lui gentilmente ne prese una copia dalla sua borsa e me lo diede dicendomi (prendi, questo te lo do in dono), io gli risposi, lo ringrazio apprezzando almeno in parte il gran dono” (3).

 

I contatti con i membri della Comunità evangelica pentecostale italiana continuarono fino al punto che, anche se Ernesto non aveva mai messo piede nel locale di culto, un giorno, mentre si trovava solo in casa, entrò in camera sua, si mise in ginocchio e pregò con tutto il cuore: “Signore, se è vero che tu salvi abbi pietà di me e tu sai di che cosa io ho di bisogno. Finito di esprimere le parole suddette mi levai e notai in me una vera trasformazione, la vita la sentivo leggera come una piuma, una gioia mai provata e dicevo fra di me, cosa è successo? Non mi sapevo rendere conto dell’accaduto. Certo una nuova esperienza mai provata. Dopo sono venuto a conoscenza che Gesù aveva operato in me liberandomi dal fardello del peccato e fatto partecipe della sua grazia. Quel bisogno di pace, che prima mi travagliava ed aggravava, non ne sentivo più il minimo bisogno. Ecco la nuova nascita!” (4).

Partecipò ad un culto insieme ad un suo cugino simpatizzante; ecco come descrive le sue impressioni più immediate:

 

“Come entrai nel locale sentii qualche cosa in me di diverso, di trovarmi in un luogo differente dagli altri luoghi; il popolo raccolto in timore come si sta alla presenza di un Supremo, e come si svolse il servizio tutto mi fu gradito, benché ogni cosa svolta nella più vera semplicità” (5).

Tuttavia Ernesto provava ancora un certo timore nel partecipare ai culti e nell’identificarsi apertamente con i credenti perché all’epoca, nella città di Syracuse (N.Y.), vi erano molti Sonninesi “un seicento circa, ed il gran numero di questi, erano nemici accaniti di coloro che avevano creduto, e che credevano all’Evangelo” (6).

 

Alla fine, però, l’amore di Cristo e l’amore fraterno dei membri di chiesa lo conquistarono appieno e compì il passo definitivo.

Testimoniò della propria fede nelle acque del battesimo, fu battezzato nello Spirito Santo ed il Signore cominciò ad usarlo nella predicazione dell’Evangelo e nella preghiera per fede sui malati.

Dopo circa cinque anni (nel 1925) il fratello Michele Palma, che era pastore della Chiesa italiana di Syracuse N.Y., lo incoraggiò a prendere cura di alcune nuove comunità italiane sorte a Pittston, Scranton e Wilkesbarre in Pensilvania. Curò queste nuove comunità per 16 mesi, si sentì spinto a visitare chiese in altre zone per altri sei mesi, durante i quali il Signore lo usò nell’annuncio dell’Evangelo ed anche nell’esercizio della guarigione divina. Di Biagio avrà occasione di affermare:

“... oltre alla predicazione che le persone venivano edificate, mi invitavano a pregare al capezzale degli ammalati per la loro guarigione, dove erano. A mia sorpresa vedevo con i miei occhi, che come pregavo per la loro guarigione, non appena finito di pregare, ogni infermità scompariva ...“ (7).

 

Tornato a Wilkesbarre fu incoraggiato contro ogni suo progetto a tornare in Italia per testimoniare dell’Evangelo al suo paese natio.

Ecco come descrive il suo ritorno: “Nel 1927 tornai in Italia dagli Stati Uniti d’America. A Sonnino tutti sapevano del mio ritorno e della mia nuova vita. Il clero locale era allarmato e incominciò a preparare il popolino, con prediche in Chiesa, dicendogli che stava per arrivare un rinnegato, un traditore, uno scomunicato che non seguiva più le vecchie vie della Chiesa Cattolica e come tale maledetto e che tutto il paese lo sarebbe stato per causa sua. Si invitava la gente a non salutarmi, a schivarmi perché il mio contatto sarebbe stato contagioso. Sonnino è un piccolo paese di 8.000 abitanti e così tutti vennero a sapere di me e del mio ritorno e, essendo ben preparati, già sapevano come comportarsi”(8).

  

Ernesto si trovò circondato da una totale opposizione:”tutti erano contrari: genitori, parenti, amici e paesani”, ma, nonostante le minacce, rimase fermo nella fede, anzi cominciò a tenere riunioni in casa sua, con la lettura della Bibbia ed il canto di alcuni inni. I vicini cominciarono ad accostarsi incuriositi dai cantici ed egli prendeva l’occasione per testimoniare loro dell’Evangelo. Nonostante i divieti ed i contrasti, alcuni si resero conto della validità del messaggio e cominciarono a frequentare con assiduità queste riunioni informali. “Il clero vedendo che il numero degli uditori cresceva, che alcuni venivano illuminati dalla parola di Dio, si allarmò ancora di più e, alle parole di scherno e di disprezzo aggiunse minacce di morte. Pensò anche di cacciarmi dal paese e per due volte aizzò il popolo a farlo, dicendogli, che se non l’avesse fatto, sarebbero arrivati i castighi di Dio” (9). I compaesani, però, si rifiutarono di attuare quel piano. Allora furono attuate altre forme di persecuzione. Ecco di seguito la descrizione di Ernesto di Biagio: “Tutti a Sonnino erano avvisati a non darmi lavoro e io, avendo una famiglia a carico, mi trovai in serie difficoltà. Mia moglie, come è comprensibile, si preoccupava, ancora non aveva capito nulla del vero messaggio cristiano. Così fui costretto a vivere di stenti, arrangiandomi con la mia piccola proprietà insufficiente ai bisogni familiari. Ma le persecuzioni, le difficoltà, le prove non ebbero alcun potere negativo nella mia vita spirituale (...).

 

Fallita l’arma economica i miei avversari provarono quella politica. Era facile, allora, scegliere questa arma; si era in pieno regime fascista. Il vecchio sistema di far intervenire il braccio secolare fu messo in opera anche a Sonnino. Mi si accusava che sotto forma di religione facevo un partito contro il governo e ben presto le autorità mi si scagliarono contro chiamandomi spesso in caserma e minacciandomi di non parlare più dell’Evangelo altrimenti sarei finito in prigione. Fui costretto, allora, a non ricevere più di una o due persone in casa. Dappertutto occhi attenti e vigili erano sempre pronti per prendere in fallo l’eretico, il ribelle. Non mancarono colpi ai sentimenti e agli affetti familiari. I miei figli spesso ritornavano a casa piangendo per le ingiurie che ricevevano a causa della mia fede” (10).

 

Intanto nel 1929 Quirino Pizzini, che si era convertito all’Evangelo negli Stati Uniti ed era membro dell’Assemblea Cristiana Italiana di Wilkesbarre (Pa), invitò il fratello Di Biagio a prendere cura di una nascente comunità sorta per la sua testimonianza. Questo gruppo era nato autonomamente dalla comunità pentecostale di Roma, costituita nel 1910 da Giacomo Lombardi, in quanto il Pizzini come abbiamo già detto, era stato membro della chiesa di Wilkesbarre che all’epoca faceva parte delle comunità che avevano segnato la posizione teologica di Giuseppe Petrelli e si erano isolate dal resto del movimento pentecostale italiano in U.S.A..

 

Il fratello Pizzini con grande zelo evangelistico aveva evangelizzato conoscenti e parenti, e per la sua testimonianza avevano creduto all’Evangelo le famiglie Provvedi, Corradini ed altri.

.al principio i servizi di culto si cominciò a tenerli in casa dello stesso Pizzini, e nei giorni che non vi era il servizio comune si andava a portare la testimonianza nelle case, a Porta Latina e fuori Porta S.Giovanni. La Parola di Dio, seminata, cadeva in buon terreno e ben presto si formò un gruppo di 50 persone. Occorreva una stanza più grande. Una famiglia Corradini che abitava nelle vicinanze di Porta Latina ci diede una stanza più ampia...” (11).

 

Ben presto iniziarono gli ostacoli, le vessazioni da parte della polizia, al punto che Ernesto venne letteralmente considerato come un sorvegliato, continuamente pedinato; così descrive quei giorni: “ogni volta che mi recavo a Roma dovevo prima andare alla questura di Sonnino avvisandola dell’ora che partivo da Sonnino e del luogo dove facevo recapito e recarmi alla questura di Roma. Queste condizioni durarono tre anni.

 

Come si faceva per radunarsi di nascosto? Per mezzo del telefono o la voce si faceva correre dando appuntamento dove radunarsi. Certo che nel servizio non si poteva cantare, ci si accontentava della preghiera, testimonianza e lettura di una porzione dell’Evangelo. Qualche volta quando il tempo era buono ci radunavamo in campagna, sotto qualche pianta stendendo qualche telo e mettendovi sopra qualche pane ,acciocché dava impressione che si stava prendendo cibo materiale. Le guardie che ci pedinavano conoscevano già alcuni della comunità e come ci vedevano raccolti o che si andava in qualche luogo ci seguivano. Alcuno mi avvertì dicendomi che le guardie ci venivano di dietro e non era possibile entrare nella casa di qualche fedèle e nemmeno fermarsi per la strada.

 

Allora, sempre camminando, gli mettevo davanti qualche parte della parola di Dio e si commentava sul soggetto. Poi sempre in cammino, una parola di preghiera e si licenziava il popolo avvisandolo dove ci si poteva radunare la prossima volta. Come si era contenti quando ci si poteva radunare per ascoltare la parola di verità, quanto si apprezzava” (12).

Quindi il campo del ministerio cristiano del Di Biagio si estese tra Sonnino e Roma. Nel 1930, a Sonnino esisteva una piccola comunità di 15 credenti, che aveva quindi la necessità di avere un locale di culto. Nonostante gli impedimenti, per mezzo del Dott. Mario Piacentini, un valdese che aveva preso a cuore la libertà di culto degli evangelici in Italia, il fratello Di Biagio ottenne il permesso dal Ministero dell’Internodi aprire un locale di culto al pubblico e così la comunità aumentò di numero, fino al 1935 quando l’iniqua circolare Buffarini Guidi mise al bando il Movimento Pentecostale ed anche la comunità indipendente di Sonnino.

 

“Le persecuzioni, dopo la circolare fascista, si fecero sempre più dure. La sorveglianza più attiva ed attenda. Occhi apparentemente indifferenti e orecchie apparentemente chiuse erano sempre pronte a spiare e udire ciò che si faceva. Non era possibile intrattenersi con più di una persona” (13).

Una sera a Roma, mentre Ernesto Di Biagio teneva il culto in una casa privata giunse la Polizia, lo arrestarono e lo misero in camera di sicurezza. Egli narra: “Tutta la notte la passai seduto meditando.... Dicevo tra me: Sono in prigione non per aver fatto del male, solo per divulgare l’Evangelo della salvezza (...). Fattosi giorno, verso le ore 9 fui accompagnato da una guardia dal Commissionario.

Costui con voce autoritaria mi disse: Voi avete trasgredito la legge!, gli risposi con calma e fermezza “ritengo che a pregare Dio non c’è niente di male”. Lui continuò con quanta voce aveva “avete trasgredita la legge di Mussolini” e la legge di Mussolini va obbedita senza discussione! (...). Il Commissario mi domandò se ero stato mai in carcere e gli risposi, mai stato.

 

Ebbene, continuò, io vi mando in carcere. Dopo poco tempo fui legato e su un carrettone mi condussero alle carceri di Regina Coeli in Roma.

Giunti alla nuova e strana dimora, fui messo nella stanza di controllo. Eravamo in molti ma gli altri non per lo stesso motivo. Quando venne il mio turno per essere registrato mi domandarono cosa avevo fatto (...).

Gli risposi che mi avevano trovato a pregare. Pareva loro di non credere si meravigliavano, ed è proprio da meravigliarsi che in Italia, nel ventesimo secolo dell’era cristiana, si devono imprigionare coloro che parlano di Cristo e che si attengono ai suoi sani ed infallibili insegnamenti. Intanto mi portarono al “Terzo Braccio” (Il braccio dei prigionieri politici) (...). Nella piccola e oscura stanza ci andavano tre brande e la piccola finestra munita di ferritoia. Quivi restai per una quindicina di giorni assieme a due altri prigioni. Poi (...). Mi condussero a 72 giorni di carcere essendo recidivo nel pregare Dio. (...).

Al termine dei 72 giorni che dovevo rimanere in carcere ,scontata la condanna, pensavo che così fosse finita e mandato via, invece fui chiamato e consegnato a due carabinieri. Questi mi legarono con catene di ferro e fattomi salire su di un carro mi condussero alla stazione Termini a prendere il treno. Giunti alla stazione di Sonnino, mi consegnarono ai carabinieri del luogo i quali attendevano perché a tempo avvisati. Vi era un gruppo di persone che mi conoscevano e nel vedermi in mezzo ai carabinieri legato con catene (...).

 

Lungo la strada tutto il popolo mi vedeva legato come un malfattore e poteva pensare che io fossi un malfattore pericoloso. Arrivato colà mi tolsero le catene e due carabinieri mi accompagnarono al Comune dal Sindaco e questi mi rilasciò. Tutti si aspettavano che dietro tale prova l’evangelista avrebbe chiusa per sempre la bocca e di parlare la buona novella, del libro che porta la civiltà fra il popolo, la pace, l’amore, l’uguaglianza e ogni benedizione da far sentire la persona in sicurtà. E’ vero che la sorveglianza si fece più accanita, ma la luce continuò a risplendere sempre di più in mezzo alle tenebre” (14).

 

Oltre alla persecuzione, Ernesto Di Biagio, come tutti, subì la durezza della guerra, ma alla fine nel 1944, quando il fronte si spostò verso il nord, riprese i contatti con la comunità di Roma che, anche senza la sua guida, era rimasta compatta in mezzo a tante avversità e riprese il suo posto di conduttore.

“Si godeva la libertà di radunarsi che da nove anni ci era stata tolta e con i regolari servizi si continuava a seminare ovunque il buon seme che ha continuato a portare il buon frutto della salvezza in molti di coloro che hanno fatta la gloriosa esperienza” (15).

 

Nel 1945 questa comunità fu accolta per tenere i culti nella allora cappella inglese della Chiesa Metodista, in via Firenze. Nel frattempo, però, iniziarono i rapporti con i fratelli principali della comunità pentecostale che intanto si era riorganizzata e teneva le proprie riunioni nella sala di conferenza dell’YMCA, a Piazza Indipendenza. A Sonnino intanto, nell’immediato dopoguerra la comunità crebbe di numero fino a raggiungere il ragguardevole numero di circa 120 credenti. Ancora una volta gli avversari non mancarono, ma l’opera si sviluppò e nel 1947 contava più di 200 membri, cioè circa il 3% della popolazione. Nonostante questo grande risveglio evangelico non mancarono mai le difficoltà che sfociarono nel 1948 nei notissimi “fatti di Sonnino”, che riempirono le pagine dei quotidiani italiani ed esteri. Lasciamo la descrizione al Di Biagio stesso:

“Nel dicembre 1947 venne a Sonnino un evangelista per visitare la comunità. I fedeli erano contenti e felici; nel popolo c’era sempre maggior interesse per l’Evangelo e una dimostrazione pubblica di fede era sentita e necessaria. Nel frattempo la parte avversaria non se ne stava inattiva ma cercava di frenare con ogni mezzo la fiorente comunità. Così furono organizzate missioni cattoliche per poter spegnere il fervore dei pentecostali.

 

Si decise allora di tenere un culto all’aperto, alla piazza principale del paese. A tal fine fu chiesto il regolare permesso alle autorità che lo concessero ma vedi caso, proprio poco tempo prima della riunione degli evangelici all’aperto lo stesso permesso veniva ritirato. Ma ormai era stato fatto ogni preparativo e così l’evangelista, con alcuni fedeli della comunità, decisero lo stesso di tenere il culto all’aperto in considerazione che in quel giorno (1 gennaio 1948) andava in vigore la Costituzione italiana che sanciva piena libertà religiosa.

Gli avversari facevano tutto quello che era in loro potere per impedire il culto pubblico. Erano stati loro a far ritirare il permesso, prima concesso, recandosi alle autorità competenti. Io fui del parere di rimandare la riunione ma l’evangelista e la maggioranza dei fedeli vollero recarsi lo stesso a far la riunione in piazza. Erano convinti, e non a torto, che se si doveva aspettare un’altra volta il permesso dell’autorità, non sarebbe mai venuto.

 

Non appena gli evangelici furono in piazza, la voce si sparse subito e il popolo, in pochi minuti, vi si radunò quasi tutto. Molti di essi erano mali intenzionati. Erano stati incoraggiati ad impedire o a sabotare la riunione ad ogni costo e con ogni mezzo e se necessario anche col sangue. Molti degli avversari erano armati di pugnale, di rivoltelle e anche di bombe a mano, pronti a commettere qualsiasi crimine. Le autorità presenti nel luogo sia civili che militari non fecero nulla per calmare il popolo ma invitarono l’evangelista a lasciare la piazza il quale rispose con calma: “Aspetto l’ordine di Dio”. Allora gli avversari che lo circondavano gli si scagliarono contro con pugni, calci e lo condussero in caserma. In piazza mentre ferveva ancora il chiasso e le grida contro gli evangelici, un giovane, credendo di calmare gli animi, sparò due colpi di rivoltella in aria; il primo andò a vuoto e il secondo, per un colpo ricevuto sul braccio da una mano sconosciuta, forse credendo di fare del bene, andò a colpire un uomo che dopo morì. Io benché non ero presente alla riunione, fui incolpato dell’accaduto essendo, come mi chiamava la parte avversaria, il capo della comunità.

 

Fui messo in prigione. Diversi giornalisti vennero a Sonnino per rendersi conto dell’accaduto e quasi tutta la stampa, specie romana, raccontò i fatti di Sonnino. Sembrava rivivere, in quei giorni, l’epoca feudale. Finalmente fu fatta luce. Il buon senso di molta stampa anche straniera precisò e indicò che la libertà religiosa doveva essere rispettata, che le minoranze avevano tutto il diritto di riunirsi e di pregare Dio come meglio gli dettava la coscienza. Così dopo 15 giorni di prigione fui rimesso in libertà. La stampa internazionale specie quella del Nord Europa e d’America si interessò al caso (...).

 

I nemici dei pentecostali di Sonnino credevano che dopo quella esperienza la comunità si sarebbe frantumata o impaurita e avrebbe smesso di predicare l’Evangelo. Ma le lotte, le persecuzioni, non sono i mezzi adatti per distruggere un Movimento. Per far tacere i pentecostali di Sonnino una sola era la via: La parte avversaria doveva dimostrarsi veramente cristiana, doveva dare esempio di amore, insomma doveva mostrarsi moralmente e spiritualmente superiore. Queste sono le armi per combattere gli avversari: Tutti gli altri mezzi falliscono. Il Cristianesimo dei primitivi secoli vinse il paganesimo perché era puro, pieno d’amore, di fede, di ardente desiderio di amare Dio e il suo prossimo. Così anche la comunità di Sonnino vinse per la stessa ragione. In fatti poco tempo dopo quell’ increscioso fatto del 1 gennaio 1948, la comunità crebbe sino a raggiungere il numero di 400 credenti (circa il 6% della popolazione). Il risultato fu l’opposto di quello sperato dagli avversari” (16).

 

In questo periodo per lo sviluppo della comunità sia di Sonnino che di Roma, il fratello Di Biagio si dimise dal suo impiego che miracolosamente nel dopoguerra aveva avuto presso il Ministero della Difesa, per darsi completamente al ministerio cristiano. Anche la comunità di Roma aveva avuto un apprezzabile sviluppo e si radunava nella sede originaria della Congregazione cristiana pentecostale in Via Adige, messa gratuitamente a disposizione dal fratello Ettore Strappaveccia.

Fu in questo periodo che le due comunità si integrarono ufficialmente nelle Assemblee di Dio. Il fratello Di Biagio ricorda quel periodo: “Non era più tempo di stare lontano da Sonnino poiché nei paesi circonvicmi la testimonianza ne aveva raggiunti diversi (...).

 

Lasciai incaricato di prendere cura della comunità di Roma il fratello Angelo Tramentozzi, anche lui nativo di Sonnino e residente a Roma per ragioni di lavoro. Riconosco che è stato da parte del Signore (...), io potei dedicarmi l’intera settimana a prendere cura dell’opera di Sonnino. Per mezzo della testimonianza di alcuni fedeli della comunità di Sonnino è nata l’opera a Monte S. Biagio, a Terracina, Priverno. Presa cura della comunità di Fondi, di Borgo Montenero, si è potuto spesso visitare l’opera a Latina e di Cisterna. E’ nata anche la comunità di Cave e di Gennazzano. Si è visitato per alcuni anni la città di Frosinone, di Alati, di Maenza e Roccagorga. Dappertutto è nata la buona semenza; in alcuni paesi già si vede il frutto ed in altri si sa che il far crescere al suo tempo è nelle mani di Colui che tutto può” (17).

 

A Roma la comunità, sotto la guida dell’indimenticabile Angelo Tramentozzi richiamato prematuramente alla “casa del Padre”, si è organizzata con una sede propria in via Tagliamento e continua ancora oggi l’opera di testimonianza in quella zona di Roma, sotto la guida del fratello Ezio Evangelisti. Molti sonninesi si sono trasferiti a Roma ed altrove, ma nonostante l’emigrazione ancora oggi la popolazione evangelica di Sonnino raggiunge il 4% dei residenti.

 

Il fratello Ernesto Di Biagio si dimetterà da pastore della comunità di Sonnino nel 1962 per raggiunti limiti di età, dopo ben 45 anni di fedele ministerio. Il Signore lo richiamerà a Sè, dopo breve malattia, nel 1966. Egli deve essere ricordato per la dolcezza del suo carattere, lo squisito spirito di sopportazione e tolleranza, alimentato da un profondo amore per il Signore e perle anime. Appartiene alla schiera di quegli indomiti pionieri che per aver “condotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle in sempiterno” (Daniele 12:3).

 

Tratto da «CRISTIANI OGGI» n° 1/1990

Francesco Toppi